Privatus, etimologicamente, significa tolto, sottratto a qualcuno e assegnato a qualcun altro. Per cui, privatizzare vuol dire togliere, privare qualcuno di qualcosa. Molti perdono qualcosa, un servizio ad esempio, e pochi o uno solo guadagnano, rivendendo ciò che prima i cittadini potevano avere gratuitamente o a prezzo politico.
Abbiamo avuto accesso alla scuola e alla sanità pubbliche. Se non ci possiamo permettere di pagare il medico perché non abbiamo denaro la mutua provvede per noi. La prestazione medica, mediante la quale si esplica il fondamentale diritto alla salute, non dovrebbe essere oggetto di contrattazione. Libertà di cura quindi non significa soltanto scegliersi il medico, o avere voce in capitolo circa questo o quel trattamento sanitario. Significa, in maniera ben più pregnante e conformemente all'articolo 32 della Costituzione, avere accesso gratuito alla sanità. E, dal momento che il personale, le strutture sanitarie e i farmaci hanno un costo, è lo Stato che vi provvede attraverso il denaro frutto del prelievo fiscale, improntato nel nostro ordinamento al criterio di progressività di cui al secondo comma dell'articolo 53. Delle due l'una: o si accetta il principio paga o creppa oppure si sopporta l'imposizione fiscale, finanziando una serie di servizi di cui potenzialmente si potrebbe non usufruire. Discorso analogo può essere fatto per l'istruzione, gratuita e obbligatoria ai sensi dell'articolo 34.
Si obietta in genere che il privato è più efficiente del pubblico. La cosa può anche avere un fondamento ma questo non è un buon motivo per eliminare la sanità pubblica, o la scuola o la previdenza. Ciò che non funziona non va soppresso ma messo in condizione di funzionare.
Poniamo, in ipotesi tutt'altro che peregrina, che venga cancellato il sistema sanitario nazionale. I pazienti saranno costretti a reperire nel mercato le cure di cui necessitano; i medici, in concorrenza fra loro, offriranno i loro servizi, cercando di intercettare gli orientamenti della clientela. Domanda e offerta si incontreranno liberamente sul mercato. Più è grave il male da cui si è afflitti e più si è disposti a pagare. Gli oncologi faranno denaro a palate perché, logica conseguenza di un mercato che non tollera interferenze, sarà abolito l'ordine dei medici e quindi non vi sarà limite alla rapacità umana, non disposta a fermarsi neppure davanti al letto di un moribondo. Il medico si muoverà come un qualsiasi imprenditore, cercando di massimizzare il proprio utile. I ricchi - che saranno sempre più ricchi perché la privatizzazione della sanità determinerà un significativo alleggerimento della pressione fiscale - potranno avere prestazioni sanitarie di primo livello, i meno ricchi dovranno accontentarsi di cure dignitose e così via fino ad arrivare ai nullatenenti, che spereranno solo nel buon cuore del prossimo. Nulla di rivoluzionario in questo. In Italia solo nel tardo Ottocento i pubblici poteri iniziano ad occuparsi della salute dei sudditi; bisognerà attendere il 1946 per sancire la costituzionalizzazione dei diritti sociali, fra cui rientra naturalmente quello alla salute.
Poiché è all'America che guardano i liberisti, le destre e buona parte della sinistra, sarà appena il caso di ricordare che Obama rischia di non essere riconfermato alla Casa Bianca proprio perché la sua riforma sanitaria, che gli ha fatto guadagnare l'accusa temeraria di socialismo, si è scontrata con gli interessi colossali delle compagnie assicurative.
Peter Sloterdijk in La mano che prende la mano che dà ha ipotizzato la trasformazione del prelievo fiscale da atto coercitivo in gesto donativo che le classi agiate compiranno volontariamente a favore dei settori più svantaggiati della società. In questo modo, da una parte si ridurrebbe la pressione fiscale fino ad estinguersi, dall'altra si favorirebbe il processo di emancipazione dell'individuo nei confronti dello Stato.
La proposta di Sloterdijk comporta l'estinzione del welfare state, direi anzi che a questo mira, ed è sufficiente una lettura in buona fede per comprendere l'assetto di interessi sotteso all'etica del dono.
Non possiamo escludere che sul lunghissimo periodo un sistema di volontarie interazioni possa raggiungere un livello ottimale di efficienza, generando benessere diffuso e innalzando le condizioni materiali di esistenza di quei soggetti che oggi devono ricorrere alla mano pubblica per ottenere quei beni e servizi che non possono reperire sul libero mercato. In quest'ottica è quindi ragionevole che i meno abbienti possano essere oggi privati di un'utilità per riaverla dopodomani maggiorata degli interessi.
Sarò pure in mala fede, ma ho il sospetto che la solidarietà intergenerazionale sia una patetica foglia di fico.
La smania delle privatizzazioni e il radicalismo antifiscale, anche quando condotti in nome della libertà e contro lo stato elefantiaco e grassatore, sono il cavallo di battaglia della borghesia transnazionale. La sinistra chiede soltanto che sulla questione di classe si prenda posizione esplicita, senza trincerarsi dietro la parola libertà. Non ci vuole poi così tanto: è sufficiente chiamare le cose con il loro nome.
Poiché è all'America che guardano i liberisti, le destre e buona parte della sinistra, sarà appena il caso di ricordare che Obama rischia di non essere riconfermato alla Casa Bianca proprio perché la sua riforma sanitaria, che gli ha fatto guadagnare l'accusa temeraria di socialismo, si è scontrata con gli interessi colossali delle compagnie assicurative.
Peter Sloterdijk in La mano che prende la mano che dà ha ipotizzato la trasformazione del prelievo fiscale da atto coercitivo in gesto donativo che le classi agiate compiranno volontariamente a favore dei settori più svantaggiati della società. In questo modo, da una parte si ridurrebbe la pressione fiscale fino ad estinguersi, dall'altra si favorirebbe il processo di emancipazione dell'individuo nei confronti dello Stato.
La proposta di Sloterdijk comporta l'estinzione del welfare state, direi anzi che a questo mira, ed è sufficiente una lettura in buona fede per comprendere l'assetto di interessi sotteso all'etica del dono.
Non possiamo escludere che sul lunghissimo periodo un sistema di volontarie interazioni possa raggiungere un livello ottimale di efficienza, generando benessere diffuso e innalzando le condizioni materiali di esistenza di quei soggetti che oggi devono ricorrere alla mano pubblica per ottenere quei beni e servizi che non possono reperire sul libero mercato. In quest'ottica è quindi ragionevole che i meno abbienti possano essere oggi privati di un'utilità per riaverla dopodomani maggiorata degli interessi.
Sarò pure in mala fede, ma ho il sospetto che la solidarietà intergenerazionale sia una patetica foglia di fico.
La smania delle privatizzazioni e il radicalismo antifiscale, anche quando condotti in nome della libertà e contro lo stato elefantiaco e grassatore, sono il cavallo di battaglia della borghesia transnazionale. La sinistra chiede soltanto che sulla questione di classe si prenda posizione esplicita, senza trincerarsi dietro la parola libertà. Non ci vuole poi così tanto: è sufficiente chiamare le cose con il loro nome.