sabato 3 novembre 2012

Il passo del gambero e quello del lupetto

Condivido in pieno le riflessioni sul renzismo contenute nel blog di Giuseppe Masala e rispondo alla domanda, che so essere retorica, circa la collocazione politica del rottamatore. Non ho alcun dubbio: Renzi non ha nulla a che vedere con la sinistra italiana, non solo con la tradizione marxista, ci mancherebbe, ma neppure con la più edulcorata socialdemocrazia. A voler essere generosi lo si potrebbe ascrivere al cattolicesimo riformista e in questo senso depone la sua biografia familiare e personale.
Renzi ha avuto il formale nulla osta del salotto buono della finanza italiana. Finalmente uno di sinistra che non demonizza il capitale e che non ha letto Marx, plaude gongolante Guido Vitale. Ho sempre sospettato che la caproneria potesse costituire un titolo di merito per il rampollo viziato di una famiglia borghese che gioca a fare politica. Faccione da primo della classe, rassicurante, ovvio nelle sue esternazioni, illetterato quanto basta per non destare invidia, Matteo Renzi ha tutte le qualità per accreditarsi come leader moderato agli occhi del mondo imprenditoriale e traghettare l'esangue e vacua postsinistra verso il suo completo e definitivo disfacimento.
Due avvenimenti fanno da cornice alla promozione sul campo guadagnata dal lupetto qualche giorno fa: l'annunciata uscita di scena del Cavaliere, tempestivamente rientrata, e il risultato disastroso delle elezioni siciliane. Che di disastro si tratti non c'è dubbio. Crocetta ha vinto grazie all'accordo con i centristi dell'UDC, ad un'astensionismo da record e all'arretramento del PDL. Parlare di vittoria in questo contesto è davvero sconcertante.
Mentre quindi una crisi economica e sociale di dimensioni epocali  dovrebbe spingere a considerazioni ponderate e approfondite e imporre soluzioni radicali, il giovane Renzi si distingue per la sua superficialità e per l'esibita pochezza politica. Vorrebbe innestare nel sistema politico italiano un modello distorto di partecipazione, imperniato sulla competizione tra due  soggetti che condividono le regole di fondo del capitalismo e non sono disposti ad analisi troppo rigorose, contrappone i giovani ai vecchi, aderisce senza riserve al marchionnismo, schierandosi apertamente e senza tentennamenti dalla parte dei padroni, che naturalmente lo ricompensano, accreditandolo quale possibile rappresentante dei loro interessi.

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