lunedì 28 maggio 2012

Golpe incolore

Non ho paura del terrorismo. Mi preoccupa invece, specie in questa fase storica, la reazione che può determinare da parte delle istituzioni. Facciamo un po' d'ordine. Il 7 maggio viene ferito  Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Finmecanica; L'attentato sarà poi rivendicato dal  Nucleo Olga-Federazione anarchica informale-Fronte rivoluzionario internazionale. Il giorno 13 il ministro dell'Interno Cancellieri, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera, dichiara di non escludere l'uso dell'esercito a difesa di obiettivi sensibili, tra cui indica Equitalia e Finmeccanica; lo stesso ministro, se da una parte esclude collegamenti tra gli ultimi attentati e il movimento no-Tav, ammette che tali collegamenti possono facilmente crearsi. Il 19 muore in un attentato a Brindisi una studentessa sedicenne. Le agenzie del 23 riportavano le preoccupazioni del direttore dell'Aisi Piccirillo. Il presidente del Copasir D'Alema si dice preoccupato e ammette l'esistenza del rischio terrorismo.
A me pare che ci sia una gran voglia di soluzioni drastiche, che aleggi l'aspirazione a delegare all'ordine pubblico le questioni politiche fondamentali per il futuro istituzionale. Il terrorismo si crea con l'inconfessabile speranza, che in pubblico deve assumere la forma della paura, del ritorno alla violenza organizzata. Nulla di nuovo quindi. Trovo anzi piuttosto abusati e noiosi gli appelli alla coesione nazionale. Il governo Monti, terminale dell'establishment politico-finanziario, ha bisogno di una forte legittimazione politica, di cui però è sprovvisto. Un nemico temibile, esterno o interno che sia, serve a stroncare le forme di resistenza pacifica, associandole in maniera neanche troppo velata ai fenomeni eversivi, a compattare la comunità nazionale attorno ad un governo impopolare e a distogliere l'opinione pubblica dalle pressanti rivendicazioni sociali.
Improprio un parallelismo tra il momento presente e gli anni 60-70 del secolo passato. Allora l'Italia ha vissuto una fase di avanzamento dei diritti sociali, e la strategia della tensione aveva proprio lo scopo di rallentare, o di fermare del tutto, l'attuazione della Costituzione. La classe lavoratrice si trova oggi, invece, ad affrontare una battaglia tutta sulla difensiva. Nell'ultimo trentennio, con una significativa accentuazione a partire dagli anni Novanta, è stato smantellato il corpus dei diritti conquistati nel quarantennio precedente; ad essere oggetto di riorganizzazione è stato in primo luogo il diritto del lavoro, di cui sono un esempio le riforme Dini, Treu, Biagi-Maroni e ora Fornero, con l'attacco frontale allo Statuto dei lavoratori.
Se mutate sono le condizioni che hanno determinato la stagione della strategia della tensione, completamente differenti sono anche gli strumenti di cui disponiamo per poter fronteggiare l'aggressione alla costituzione formale e materiale della Repubblica, condotta con tecnica chirurgica e accompagnata da dosi massicce di anestetico. Mancano i partiti di massa in grado di esercitare la funzione di guida delle classi subalterne; viene meno anche il ruolo del sindacato, liquidato solonicamente come un residuo del Novecento. Manca sopratutto l'egemonia culturale della sinistra.
Abbiamo la maturità per comprendere che non saranno quattro bombaroli a mettere in pericolo la stabilità delle istituzioni repubblicane. Il pericolo è tutto interno. Tecnicamente si può parlare di eversione, cioè di un sovvertimento politico perpetrato dalle classi dominanti che occupano i posti chiave delle amministrazioni pubbliche. Non vedremo eserciti per le strade, né generali col monocolo, né tribunali speciali né dissidenti incarcerati. Il golpe incolore si sta consumando nell'apatia della politica declassata a mero adempimento di doverose pratiche burocratiche.

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