venerdì 23 marzo 2012

Lunga vita al ministro Fornero

Sono libero di augurare a me stesso e agli altri ciò che più ritengo opportuno, morte compresa. Mi metto addosso i vestiti che più mi piacciono e scrivo sulla mia maglietta quello che mi pare. Se qualcuno non gradisce volti la faccia e guardi altrove.
Ha suscitato un comprensibile scandalo bipartisan la t-shirt con su scritto “Fornero al cimitero”, indossata da una manifestante che si intrattiene in una conversazione con Oliviero Diliberto, inappuntabilmente vestito in giacca e cravatta. Contro il segretario del PdCI, colpevole di non aver allontanato la manifestante in questione, si è riversato lo sdegno unanime del mondo politico e della stampa. Il ministro, evidentemente toccato in prima persona, ha definito il leader dei Comunisti Italiani indegno di aver ricoperto incarichi istituzionali di prestigio.
Ho ricevuto una formazione cattolica che mi ha sempre impedito di augurare il male a chicchessia. Tuttavia provo a comprendere cosa possa spingere qualcuno a desiderare la morte di un proprio simile e mi astengo dal dare valutazioni morali affrettate sulle condotte altrui che pur mi lasciano perplesso.
Voglio che il Ministro Fornero abbia ancora tanti anni davanti a se, almeno quanti ne bastano per un possibile ravvedimento. Vorrei che potesse vivere a lungo e le propongo un esercizio mentale: immedesimarsi in uno dei tanti lavoratori che con più facilità possono essere espulsi dal ciclo produttivo in un’età che non consente né il pensionamento né la possibilità di trovare un’altra occupazione. Le decisioni politiche possono essere considerate coraggiose solo quando chi le ha prese si dispone ad accettarne le conseguenze in prima persona: chi vuole la riforma del mercato del lavoro sa bene che non si troverà mai dalla parte dell’operaio licenziato semplicemente perché le ragioni dell’impresa così esigono, del pensionato al minimo, dello studente universitario che non più pagarsi gli studi perché suo padre, cinquantenne fino a quel momento “ipergarantito”, è stato cacciato via dalla fabbrica per dare un’opportunità ai giovani come lui, che di garanzie non ne hanno mai avute. E così, in questo modo, si rimuove anche il conflitto di classe dal nostro orizzonte concettuale, per essere sostituito dalla più agevole, e politicamente meno impegnativa, contrapposizione tra generazioni.

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