La scomparsa di Mirko Tremaglia ci ricorda che non tutti i morti sono uguali.
La morte non conferisce nessun valore supplementare alle scelte che si sono fatti da vivi. I ragazzi di Salò stavano dalla parte del torto e Tremaglia ha sempre rivendicato con orgoglio la sua militanza repubblichina. Non ha rinnegato la sua scelta neppure quando, nel 2001, fu nominato ministro per gli italiani del mondo. E agli italiani nel mondo, alla difesa di una presunta italianità, Tremaglia ha dedicato tutta la sua vita politica. Il diritto di voto per i residenti all’estero è stato il suo più grande successo politico. Sfortunatamente le cose andarono diversamente da come si temeva e nel 2006 i voti della circoscrizione estero furono determinanti per la vittoria di Prodi: evidentemente lo stereotipo dell’emigrato italiano semianalfabeta con l’immagine del Duce appesa in camera aveva fatto il suo tempo.
Nel 2004, a proposito della bocciatura di Buttiglione a commissario europeo, Tremaglia pubblicò un comunicato in cui scrisse: "Purtroppo Buttiglione ha perso. Povera Europa: i culattoni sono in maggioranza”. Parole che rivelano una straordinaria bassezza culturale e una naturale propensione all’ intolleranza da cui la destra italiana non è mai riuscita ad affrancarsi.
Nel tracciare un ritratto dell’estinto, Aldo Di Biagio su http://www.generazioneitalia.it/ scrive che” l’italianità non è un parere” ma “un fuoco che arde dentro e che si alimenta giorno dopo giorno”. Terminata la lettura del pezzo ho avuto la conferma e che il senso del ridicolo, di cui non è provvisto l’onorevole Di Biagio, costituisce il più sicuro argine eretto a difesa della libertà e della democrazia, valori che evidentemente non gli stanno a cuore, e che non erano la bussola neppure di Tremaglia, il quale appunto ha speso tutto la sua esistenza a difendere una non meglio precisata dignità dell’Italia.
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