Ho riletto recentemente “I vestiti nuovi dell’Imperatore” e ho avuto la conferma che le fiabe non sono un genere letterario destinato esclusivamente ai bambini.
Il racconto di Hans Christian Andersen parla di un re vanitoso, la cui unica occupazione era quella di abbigliarsi con vestiti costosi per farsi ammirare dai sudditi e dai cortigiani. Un giorno si presentarono a corte due truffatori dicendo di vendere delle stoffe molto particolari: potevano essere viste solo dalle persone intelligenti. Il re, che amava essere lodato per il proprio acume oltre che per la propria eleganza, fa commissionare ai due furfanti il vestito più bello e costoso che si potesse immaginare. Dopo oltre un mese di scrupolosa lavorazione l’abito venne consegnato e le casse regie si scoprirono notevolmente alleggerite. Il sovrano, per paura di essere deriso, finse di vedere ciò che non poteva essere visto perché inesistente. Allo stesso modo si comportarono i cortigiani e i ministri. Il re quindi uscì dal palazzo per il suo quotidiano defilé, come sempre seguito da uno stuolo di dignitari e servitori. Presso il popolo intanto si era diffusa la voce dei vestiti nuovi del sovrano e della loro singolare caratteristica. Ciascuno quindi, nel vedere il re coperto soltanto da un paio di mutandoni di lana(così nella castigata versione che ho avuto fra le mani qualche giorno fa), fu colto dall’atroce dubbio di non essere intellettualmente dotato. A nessuno, tuttavia, venne in mente di pensare che il vestito non si vedeva perché non c’era. Qualcuno forse sospettò che si trattava di un inganno ma tacque, in omaggio quella prudenza che spesso deborda nella viltà. Solo un bambino ebbe il coraggio di gridare “Il re è nudo!”.
Da piccolo trovavo gustosa e irriverente la regale nudità, l’esibizione del corpo di un uomo di mezza età, convenzionalmente impotente, grassoccio, con il sederone flaccido e debordante adagiato sulle gambette esili.
Molti anni dopo la prima lettura ho scoperto nella fiaba di Andersen, significati che allora non avevo colto.
Cerchiamo dunque di andare oltre la lettera. Il re finge di vedere ciò che non c’è perché non vuol perdere credibilità agli occhi dei cortigiani e dei sudditi. Il popolo, a sua volta, finge perché teme le tremende sanzioni nelle quali rischiano di incorrere gli increduli.
La naturale compenetrazione tra potere temporale e potere spirituale mi porta a pensare che il re possa essere agevolmente sostituito da una figura assimilabile a quella del sacerdote. Del resto la nostra tradizione giudaico cristiana è intrisa di riferimenti alla regalità divina e il re stesso è persona sacra.
Nell’interpretazione allegorica i vestiti nuovi dell’imperatore sono una delle tante buone novelle che hanno funestato la storia dell’homo sapiens. Nessuno può credere a ciò che è manifestamente incredibile, così come non si può vedere un abito che non c’è. Tuttavia non c’è nessuno che possa riconoscere e smascherare la menzogna. Non il re, a questo punto re-sacerdote, che fonda la propria fortuna sulla credulità del popolo; non i cortigiani né i ministri che non osano contraddire il proprio sovrano; non i sudditi, per paura delle sanzioni che saranno comminate se non si crede in ciò che i potenti comandano di credere. Solo un bambino, alla fine del racconto, ha il coraggio di gridare “Il re è nudo!”. Non è l’ingenuità dell’infanzia. E’ esattamente il contrario. Il bambino assume il ruolo che è proprio dell’intellettuale: stanare gli impostori. E’ intelligente nel senso letterale del termine, cioè capace di trovare ciò che viene volutamente nascosto.
Le religioni, e in particolare i tre monoteismi del deserto, hanno uno speciale punto di forza nella doppia e condivisa ipocrisia, dei chierici e dei fedeli. La funzione dell' intellettuale è quindi proprio quella di riconoscere il disvelamento, certificare l’avvenuta profanazione, gridare, primo fra tutti, “Il re è nudo!”.
La versione che lessi da bambino si concludeva in questo modo: “Il re promise di nominare il bambino primo ministro, e così fece”. Secoli di inquisizione, di abiure, di libri messi all’indice e di roghi consumati in danno dei liberi pensatori mi inducono a ritenere che le cose, fuori dal mondo fiabesco, siano andate diversamente.